Life on Mars(ico)
La volta che ho intervistato Maurizio "Monofonic Orchestra" Marsico. “Il tempo è più gentile con la qualità che non con la popolarità”... ipse dixit.
Le date dei file salvati nell’HD non mentono: 19 marzo 2020, quindi una decina di giorni dopo l’imposizione del lockdown per la pandemia-ia-ia-ò. Un periodo allucinante - non che quello attuale sia meglio - in cui ancora, come tanti, mi illudevo di potere continuare a fare le cose come prima. “Se lallero”, come dicono i poeti.
Cullandomi nella mia pia e un po’ arpia illusione, intervistavo quel personaggione di Maurizio Marsico aka Monofonic Orchestra per una defuntissima pubblicazione che si chiamava Vinyl (legata al mondo De Agostini).
Non vi trifolerò ulteriormente gli apparati genitali: vi lascio all’intervista, che merita. E magari scoprirete un artista non comune… enjoy and accoy.
“Se fossi un collezionista, mi collezionerei”
Classe 1960, segno zodiacale Toro. Creativo e mercuriale, artista e provocatore. Senza dubbio sopra le righe: sempre e comunque. Questo il ritratto veloce di Maurizio Marsico, noto anche con il nome di battaglia di Monofonic Orchestra (o Monofonicorchestra tutto attaccato, a seconda dell’umore) – ma non solo, visto che ha operato con diversi alias. La sua discografia è variegata, caleidoscopica, imprevedibile e di reperibilità non semplicissima – soprattutto se parliamo di stampe originali. Il suo nome poi – soprattutto fra i cultori del post punk, new wave, elettronica, sperimentazione e avanguardia made in Italy – è fra i più riveriti e considerati.
Partiamo dall’ora e adesso: è stato pubblicato da poco un tuo LP con Stefano Di Trapani – The Greatest Nots – solo su vinile. Iniziamo da qui: perché un’uscita così, solo su questo supporto?
Perché è un vero e proprio 33 giri e i dischi “veri” per me sono solo quelli in vinile. Perché c’è molta più immaginazione in gioco e i dischi così rappresentano un’esperienza percettiva oltre la fedeltà del suono, che supera il mero ascolto consumistico dei brani. Grandi, belli, profumati e magici… ancor prima di metterli sul piatto e ascoltarli… ne sei già rapito. Con un artwork che possa essere degno di questo nome e note di copertina e credits che finalmente riesci a leggere senza che ti vada insieme la vista. Perché non sono “cosine”, ma hanno peso, consistenza e proprietà tattili. Perché è entusiasmante ascoltarli ed è ancor più entusiasmante farli.
Restiamo su The Greatest Nots. Come nasce la collaborazione con Di Trapani, aka Demented Burrocacao? Come vi siete incrociati e conosciuti?
È nata in concomitanza dell’uscita del mio album antologico The Sunny Side Of The Dark Side (pubblicato da Spittle nel 2017). Stefano mi contattò per invitarmi a presentarlo allo Ué Festival di Napoli. Appena incontrati scattò subito una sintonia musicale incredibile che proruppe nel corso della presentazione stessa in una jam delirante. Poi ci sono state altre occasioni artisticamente stimolanti, e sempre molto divertenti, che ci hanno visto condividere il palco. Quindi il disco MarsicoDiTrapani è stata l’evoluzione più naturale di tutto questo.
Come avete proceduto per la stesura dei pezzi? E le registrazioni?
Siamo arrivati in studio che avevamo un’idea soltanto abbozzata dei brani, ma con nulla di preprodotto al traino. Qualche testo, un paio di sequenze di accordi e gli sketch già abbastanza formati di Savonex (Stefano) e Arròta (io). Tutto il resto è stato creato direttamente in studio a velocità ultrasonica – e tutto a quattro mani e due voci. Ci eravamo portati qualche strumento che abbiamo utilizzato (Nordlead 4, Drumbrute Arturia, Alesis Micron, Mooger Fooger), ma ci siamo divertiti soprattutto a suonare quello che abbiamo trovato in studio inclusi amplificatori Marshall, Gibson Les Paul e tastiere polifoniche vintage Roland e Yamaha. Abbiamo registrato come fossimo una vera e propria band, con molte parti in diretta e pochissime sovraincisioni. Credo che tutto ciò abbia contribuito a definire la particolarissima identità musicale di questo album al tempo stesso conosciuta e ignota, pop e sperimentale, demenziale e lucida con una forte attitudine rock…. senza che di fatto lo sia.
Facciamo un salto indietro nel tempo: cosa ricordi della tua “prima volta” su vinile?
Fu un sogno che si realizzò la prima volta che ne incisi uno. E lo è anche oggi per me, a 40 anni circa di distanza, avere per le mani The Greatest Nots di MarsicoDiTrapani fresco di stampa. Certo, l’album è anche disponibile su tutte le piattaforme digitali… ma vuoi mettere? Anche perché è stato pensato, creato e mixato avendo perfettamente chiaro in mente che sarebbe poi diventato un vinile con copertina gatefold.
Hai una collezione di dischi su vinile o l’hai avuta in passato?
L’ho avuta, grande ed estesa, in passato. Ora in vinile è composta, diciamo, da una scrematura molto selezionata che in definitiva consiste nei miei dischi antichi e recenti, in tutti quelli della label inglese Ghost Box, che adoro (Belbury Poly, Jon Brooks & Co.), e nei vinili dei miei amici musicisti con cui abbiamo la piacevole consuetudine di scambiarceli appena sfornati – come Stefano Ghittoni (Tiresia e Dining Rooms) o le Forbici di Manitù. Già così comunque non è poco: tieni presente che negli ultimi due anni è uscita un sacco di roba in vinile che più o meno mi riguarda. Ad esempio il doppio LP Thalidomusic For Young Babies di Stefano Tamburini (su Plastica Marella) il 7” The End Of The Beginning di Monofonic Orchestra + ODRZ (Luce Sia), la splendida riedizione di Architettura sussurrante in vinile trasparente da 180 grammi e con un packaging straordinario (Lacerba), la compilation Milano After Punk 1979-1984 curata da Fred Ventura per Spittle e la ristampa del disco manifesto della new & no wave milanese Matita emostatica (Materiali Sonori).
Un disco che non hai nella tua collezione e desideri recuperare…
Di altri direi Star Jaws di Peter Gordon. Mio, nel senso di fatto da me, invece My Way/Just Another Way di Maurizio & Maurizio.
Andiamo più nello specifico: qual è il formato migliore per il vinile, a tuo giudizio? Il 7”, il 10”, il 12”?
Se mi costringi a parlare seriamente ti confesso che per me il miglior supporto del mondo, a livello qualitativo e affettivo, è il maxi-single in vinile. Un bel 12” a 45 giri di otto minuti massimo per lato, con i solchi che hanno tutto lo spazio che meritano, è quanto di meglio possa ancora esserci. L’autentico format dei dischi “che suonano” dei tempi d’oro delle radio e dei Dj e che anch’io adottai nel mio periodo con Italian Records per pubblicare musiche ben diverse da quelle che ci si sarebbe aspettati da tal formato.
Quindi possiedi anche un giradischi? Non è scontato… tanti collezionisti o appassionati di vinile non ne hanno uno.
Ne possiedo uno davvero basic, ma mi piace così. Per me i dischi devono suonare bene ovunque, anche con un impianto orribile: penso sia questa la vera forza dei dischi buoni. Fenomenali anche con un mangiadischi, sommersi tra scric e scroc e, a volte, imprevedibilmente non consumati causa coitus interruptus da salto di puntina.
Quando Maurizio Marsico decide di ascoltare musica, come lo fa e cosa sente?
La mia modalità preferita è ascoltare i mix o i pre-mix dei brani appena registrati in studio, in solitaria, con l’impianto dell’auto a manetta (posso dire tranquillamente che ho preso la patente soltanto per far questo) e ubriacarmi di decibel a volume parossistico, con i finestrini sigillati e risuonando tutte le parti con gli strumenti in versione air. Mi piace questa modalità, perché appena uscito dagli ascolti eccezionali dello studio sento il bisogno di un immediato raffronto con la cruda realtà, sentire insomma come suona davvero… e se suona bene in macchina è una bomba.
Come vedi il mondo dei collezionisti “hardcore” di vinile? Lo hai mai frequentato o sfiorato?
Chapeau ai collezionisti “hardcore” del vinile. In primo luogo perché esistono “ossessioni” ben peggiori e poi perché tra di essi si insidiano numerosi estimatori del sottoscritto e della sua discografia, che in fondo rimane al 90% in vinile e che componendosi di titoli a mio nome o sotto diversi alias (Monofonic Orchestra, Soul Boy, Maurizio & Maurizio, Fontana, M-Poppers, Art Of Joy e numerosi altri) è diventata nel tempo piuttosto nutrita e con valutazioni che in alcuni casi sfiorano lo sbalorditivo. Un paio di esempi? Il singolo Takita Kamati dei Fontana (Baby Records, 1981) con una valutazione oltre i 150 euro e l’album originale Architerrura sussurrante di Alessandro Mendini (esposto tra l’altro al Moma di New York), che include il mio brano Arredo vestitivo (Ariston, 1983) venduto su Discogs a 2.000 euro più spese postali! Ho scoperto che, in fondo, tutti i miei lavori sono collezionabili “naturalmente” e la loro rarità ne è quasi il fondamentale attributo, vuoi per la peculiarità della musica, vuoi per l’originalità dell’artwork. Deve essere emozionante dare la caccia a titoli che ormai io stesso non posseggo più e quasi nemmeno ricordavo di aver registrato e che se Christian Zingales non mi avesse costretto a farlo (e per questo gli sarò sempre enormemente grato), in occasione della stesura della mia biografia Life On Marsico, sarebbero ormai persi nell’oblio. Insomma, amici collezionisti: razziate tutto quello che riuscite a trovare di mio, da Maurizio & Maurizio del 1980 (copertina serigrafata a mano in rosa e verde fluorescente) a The Greatest Nots… e vi assicuro che non ve ne pentirete affatto. Se fossi un collezionista mi collezionerei. Sembra una boutade, ma lo penso davvero. Il tempo è più gentile con la qualità che non con la popolarità.
Visto che l’hai citata, parliamo della tua biografia/autobiografia scritta con Zingales: come ci si sente a essere oggetto di un libro sulla propria vita?
È sicuramente la prima volta in cui mi sia mai capitato di immedesimarmi a tal punto col personaggio di un libro. Devo ammettere che quel “cattivo soggetto” mi somiglia tantissimo, con lui ho avuto un vero e proprio transfert. Scherzi a parte, puoi senz’altro immaginare quanto possa essere inconsueto che esca un libro che parli di te da “vivo”. Quelle rare volte che, tra me e me, me lo sono chiesto, prima che uscisse, l’unica risposta che mi sono dato è stata: in fondo è normale, se sono nato postumo non è colpa mia è da quando esisto che sono aldilà, quindi esca oggi, ieri, domani o mai… è esattamente uguale.
Sempre per rimanere in ambito di carta stampata, il tuo racconto Nuvole di parole astratte colorate” compare nell’antologia S.O.S. – Soniche Oblique Strategie a cura di Mario Gazzola per Arcana: è un indizio di qualcosa di più esteso che tu hai in cantiere? Magari un romanzo o una raccolta di racconti?
No, forse è solo l’indizio della prossima cosa che non farò. Penso che le dichiarazioni d’intenti legati alla creatività siano una maniera subdola che, surrettiziamente, mettiamo in atto per tenerci bene a distanza da nuovi progetti (che ci spaventano o che non abbiamo ancora bene in chiaro) e che quindi il solo fatto di parlarne, a volte, è uno dei tanti modi perversi di allontanarci da essi e di non fare, piuttosto che il contrario. Certo, un libro lo vedo sfumato all’orizzonte come un miraggio sahariano, ma cosa, come e perché ancora non so. So soltanto che lo scriverò quando il processo di gestazione sarà compiuto. E si scriverà, in un certo senso, da solo.